RECENSIONE ITAEWON CLASS DI MARCO PARACCHINI (NETFLIX)

Ci sono storie che riescono a entrarti dentro e a smuovere sensazioni che pensavi
assopite.
Ci sono storie che riescono ancora a stupirti e attuano un processo empatico coi
personaggi.
Ho vissuto le suddette esperienze sensoriali con questo K-Drama a titolo “Itaewon Class”,
serie televisiva realizzata nell’arco del 2019 e divulgata da Netflix nel primo trimestre del
2020.
E questa è anche una di quelle esperienze visive che ti rimane cucita addosso, difficile da
dimenticare per le emozioni che sa regalare.

Mugunghwa Dream sa bene che scrivo solo di storie che mi appassionano e questa
narrazione seriale mi ha letteralmente immobilizzato sul divano
ergo ho pensato di
redigerne questa recensione.
La serie mi ha tenuto compagnia per un paio di settimane poiché volevo centellinare la
beltà del paradigma narrativo spalmando le emozioni nell’arco della “sessantena” imposta
dal Governo. Ho così potuto godere di una storia un po’ diversa dal solito. Certo, i coreani
ci sanno fare, questo ormai è indubbio, ma in questa serie si trovano tutti gli archetipi della
narrativa, nessuno escluso. Dall’eroe tormentato (Park Sae Ro Yi), all’antagonista
ineluttabile (il presidente della società Jangga interpretato da una delle colonne portanti
dell’audiovisivo coreano, Yoo Jae Myung) e dal Mutaforma (ma non posso svelarvi chi è
se no sarebbe spoiler) al Mentore. Il merito va dato certamente dell’autore del webtoon
che ha successivamente trasformato il fumetto – mantenendone i capisaldi – in una serie tv
che ha ricevuto critiche positive in ogni parte del mondo: Kwang Jin. Anche il regista Kim
Seong Yoon, ormai con esperienza decennale nel settore, riesce a muovere i fili della
trama in maniera egregia.
Ma qual è la storia di cui ancora non ho anticipato alcunché?
Ebbene, tutto parte da un adolescente che cambia scuola. Nella nuova classe reagisce a
un atto di bullismo che non tollera e da lì comincia tutta l’evoluzione narrativa del
personaggio che, volente o nolente, farà girare intorno a sé tutte le altre sotto-trame di
“Itaewon Class” (per un lungo arco narrativo che va a coprire ben 15 anni di storia).
Difendere uno studente vittima di bullismo lo porterà a fare i conti con una realtà che non
avrebbe mai potuto immaginare: il bullo è il figlio del proprietario della Jangga, società

coreana legata al settore della ristorazione, dunque futuro pupillo che dovrà prendere le
redini dell’azienda. Il gretto e meschino presidente della società pretende che il
protagonista si inginocchi chiedendo scusa, ma preservando i valori famigliari, Sae Ro Yi
si rifiuta scatenando così l’ira del presidente che licenzia in tronco il padre del ragazzo,
fidatissimo impiegato storico della Jangga. Da lì comincia la tormentata esistenza del
protagonista che va a complicarsi dopo la morte del padre. Da quei momenti la sua vita
avrà un unico obiettivo: aprire un pub come voleva suo papà e fare una scalata verso il
successo cercando di vendicare i propri valori nei confronti di chi glieli aveva estirpati anni
prima.
E perché varrebbe la pena vedere una serie così lunga (circa 20 ore)?
Per rispondere a questa domanda vado a elencare i PRO della serie, ma per una
questione rigorosa segnalerò anche quelli che sono i CONTRO, pur dicendo sin d’ora che
questo k-drama andrebbe visto senza se e senza ma.

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PRO
La storia spicca per originalità: non è la solita storia d’amore né la solita detection story.
Trattasi di una vicenda che vede un ragazzo che spende la sua vita al fine di ottenere una
rivincita (e per “vendicarsi” contro l’antagonista) aprendo un pub per fare una scalata
economica che sembra impossibile. È dunque interessante vedere stilemi narrativi fuori
dall’ordinario, pur basandosi su archetipi narrativi che conosciamo dalle epopee elleniche.
I personaggi sono strutturati bene: non ci sono sbavature e ognuno di loro è stato
caratterizzato al meglio. Facile creare empatia con molti di loro. Certo, a volte appare un
po’ stucchevole il comportamento del protagonista, soprattutto dinnanzi alle vicende
sentimentali, ma è parte integrante di uno status mentale di una persona che non ha avuto
molto dalla vita.
L’arco narrativo è portato avanti con una certa caparbietà, ma sempre lasciando ampi
spazi di riflessione e con testi non del tutto scontati. In alcuni passaggi è notevole la
maturità espressa nelle battute quindi la trasposizione audiovisiva del webtoon ha
certamente implementato le caratteristiche contenutistiche.
La recitazione è molto buona, a tratti anche oltre le aspettative e il comparto tecnico non è
da meno: la serie tv gode di una buona regia (ahimè purtroppo a volte ci sono degli
scavalcamenti di campo tanto cari ai coreani), di un’ottima fotografia e anche di un ottimo
sound-design, sostenuto da una colonna sonora malinconica e travolgente.

CONTRO
L’arco narrativo fa quattro balzi temporali sino a ricoprire una time-line di quindici lunghi
anni e questo lascia un po’ di stucco laddove alcuni personaggi non cambiano affatto: mi
riferisco soprattutto al protagonista (che rimane eguale dai tempi del liceo sino a quando
supera i trent’anni) e a una bambina (interpretata da Choi Yoo Ri) che dopo un arco
temporale di 4 anni è rimasta comunque sempre una bambina (pur essendo in un’età dove
4 anni di crescita rappresentano uno sviluppo notevole). L’unico che viene truccato per
rendere evidente l’anzianità è il presidente Jang Dae Hee.
E a proposito del presidente, passo al secondo punto che ritengo negativo nello sviluppo
della trama: le indicazioni sulla Jangga sono un po’ vaghe visto che per 16 episodi si fa
sempre e solo riferimento a un pub della compagnia, pur presentandola come la prima
realtà nazionale del settore della ristorazione.
Penultimo tassello poco credibile è il lato dei sentimenti: davvero arduo credere che per 15
anni l’attrazione e il desiderio provato per una sola persona non sia mai scemato nel
tempo.
Infine vorrei parlare degli incontri casuali che accadono in questa serie. Già, dopo un po’
divengono anche disturbanti (la media è di uno a episodio). La vicenda si snoda in poche
strade di Seoul e questo posso anche capirlo, tuttavia la geografia dell’ambiente non viene
spiegata (ci sono personaggi che si muovono con l’automezzo per raggiungere il posto di
lavoro, ma spesso si incontrano a piedi in luoghi distanti tra loro o per prendere il bus) e,
come detto, alcuni di loro si incrociano sovente per puro caso. La casualità può
certamente avere importanza nella nostra vita perché, come spesso dico, “nulla accade
per caso”, ma qui credo che per motivi di semplificazione si sia dato ampio spazio alla
suddetta e questo semplifica anche la struttura narrativa.

Termino come ho iniziato: ci sono storie che riescono a entrarti dentro, ci sono storie che
riescono ancora a stupirti e sicuramente “Itaewon Class” è una tra queste.
Buona visione.

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    Articolo di: Marco Paracchini

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