[RECENSIONE] “HOME” DI KIM JONG WOO

La piccola felicità che assaporavi viene ad un tratto distrutta dallo disgregarsi della famiglia. Ragioni più alte della nostra comprensione ne sono la causa. Il giovane studente delle medie Junho assiste all’incidente stradale che porterà sua madre al coma.

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Lui e il suo fratellastro Seongho apparentemente solo lasciati soli a sé stessi ma la fortuna è dalla parte del piccolo Seongho, il cui padre biologico, Wonjae, lo accoglie a casa sua. A parte essere suo padre, Wonjae è anche il marito dell’altra donna finita in coma a causa dell’incidente stradale. La moglie era andata la mattina in cerca della madre dei due ragazzini facendola salire sulla sua auto per discutere senza immaginare che in pochi secondi sarebbero state vittime di un incidente stradale. Come può sentirsi un ragazzino, nei primi anni della sua adolescenza, privato della sua famiglia? La madre in ospedale su un lettino collegata a una macchina per ‘vivere’, il fratellino che gli viene portato via, e il padre? Junho lo va a cercare ma è preso dal lavoro e non è interessato alla vita del figlio, non ha tempo per lui.

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Junho si ritrova da solo, in una città, Busan, e una società che lo rinnegano. Un barlume di speranza, però, si accende grazie all’invito di Wonjae. L’uomo, infatti, decide di accogliere il giovane a casa sua, dove già il suo fratellastro vive. Dopo i primi momenti di imbarazzo e disagio nella nuova casa, la situazione si distende. La figlia di Wonjae si affeziona al nuovo fratellone e Seongho è felice di essere di nuovo con Junho, il quale si sente di nuovo parte di una famiglia. Questa labile felicità è mandata in frantumi dalla morte della madre, la quale non sopravvive e poco tempo dopo l’incidente muore, senza mai riprendere conoscenza.

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Anche la casa, l’appartamentino dove la famiglia di Junho viveva sta per essere distrutto. Di nuovo, simbolicamente e fisicamente, quasi tutto ciò che rimaneva della sua famiglia viene sradicato, incluso il padre, di cui non si hanno più notizie. E ancora una volta, Wonjae si prende cura di Junho, affidandogli delle responsabilità tra i quali un lavoro part-time a un negozio aperto 24 su 24 e il prendersi cura dei suoi fratellini più piccoli, compiti che prende seriamente ma con contentezza. Gli viene pure promesso che sarebbe potuto rimanere a vivere con la famiglia di Wonjae. Finalmente fortuna e felicità nella vita di Junho, o forse no? A causa di una piccolezza perde di vista i fratellini durante una passeggiata, lui è sull’orlo della disperazione, la polizia li ritrova piangenti ma salvi. Questa mancata responsabilità ha però un prezzo alto, Junho non può più fare parte della famiglia di Wonjae e viene mandato in un centro di accoglienza. La scena finale è forse la più toccante e triste di tutto il film. Junho sorridente gioca una partita di calcio, segna pure un goal, Wonjae, Seongho e la sorella sono andati a fare il tifo per lui, dalla panchina lo incitano. Non è solo, apparentemente, ha il supporto della famiglia, che non vive con lui. Purtroppo, le ultime inquadrature rivelano la condizione del giovane ragazzo, è in campo ma non circondato dai suoi compagni, ha una ‘famiglia’ che si trova lontana, sugli spalti,  perché non vivono insieme. Junho è solo, e la tristezza e solitudine della sua condizione colpisce dritto al cuore, perché non è l’unica persona questo mondo a provare queste sensazioni.

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Il regista Kim Jongwoo è riuscito a rendere una storia complicata (famiglia, infedeltà, morte, assenza di casa, relazioni con altre persone, bullismo anche) in maniera semplice e quasi brutale al tempo stesso. La realtà rappresentata può essere una vera realtà, e questo è ciò che più spaventa. Alla fine Junho è solo un ragazzino in cerca di amore, accettazione e una ‘home’.

‘Home’ è un termine inglese che vuol dire ‘casa’, con il significato di focolare domestico, il fare parte di una famiglia. I nativi inglesi dicono infatti ‘home sweet home’, per indicare il nostro ‘casa dolce casa’, e non a caso, il titolo del film riguarda il significato del termine ‘home’ come l’appartenenza a una famiglia, indipendentemente dai legami di sangue.

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    Articolo di: Silvia Crippa

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