‘SHOW ME THE MONEY’ & ‘UNPRETTY RAPSTAR’ ANALISI DI UN FENOMENO TELEVISIVO

rap

Moda, nuova generazione o storpiatura di una cultura non propria?
Questo è quello che ci chiediamo in questo articolo, Show Me The Money e Unpretty Rapstar sono diventati volenti o nolenti un vero fenomeno televisivo e musicale entrando prepotentemente nelle classifiche coreane e qui Caterina Carnevale ne analizza il fenomeno e ci dice cosa ne pensa.

Basta un rapido sguardo alle classifiche di qualsiasi paese al mondo per notare come l’Hip-Hop stia diventando sempre più commerciale e non sia più confinato nella sola scena indipendente.
In Corea il rap ha sempre avuto un legame molto stretto con la musica commerciale, basti pensare a come veniva usato in abbondanza da Seo Taiji and the boys, la prima e celeberrima boyband coreana, o al fatto che ancora oggi in quasi tutti i gruppi k-pop è presente un/una rapper. Tuttavia i nomi di molti artisti che fino a pochi anni fa producevano musica solamente nell’underground stanno diventando sempre più famigliari al grande pubblico, non solo grazie a collaborazioni con idol o altri cantanti mainstream, ma anche grazie alla televisione, mezzo fondamentale in Corea per la promozione musicale. A partire dal 2012 MNET ha prodotto il talent show Show me the money dove rapper più o meno conosciuti, dalla carriera più o meno longeva e persino idol competono tra di loro, giudicati, oltre che dal pubblico, da produttori e artisti di spicco della scena ‘overground’ Hip-Hop coreana come Tablo, San-E, Verbal Jint e Dok2.
Nel 2015 è stato realizzato anche uno spin-off completamente al femminile chiamato Unpretty Rapstar, a cui, tra l’altro, hanno partecipato alcune eliminate proprio da Show me the money. Le prove che i concorrenti affrontano all’interno di questi talent sono per lo più gare di freestyle, diss-battle, cypher e esibizioni giudicate dal pubblico (nessuno di questi show per è trasmesso in diretta); nel caso di Unpretty Rapstar le rapper si contendono una traccia composta da un famoso produttore che funge anche da giudice, nel caso di Show me the money i produttori sono veri e propri mentori di una piccola squadra di artisti. I benefici di partecipare a uno di questi programmi sono senz’altro enormi, per fare degli esempi: Bobby, che partecipò alla terza serie di Show me the money vincendola, è noto per aver sfatato lo stereotipo del rapper idol privo di talento, mentre la vocalist divenuta rapper Jessi del gruppo Lucky J, seconda classificata della prima edizione di Unpretty Rapstar, è riuscita per la prima volta ad ottenere un grande successo dopo dieci anni di carriera.


La verità è che per questi programmi televisivi mettono in evidenza tutte le, per così dire, “pecche” della cultura hip-hop coreana. Innanzitutto l’influenza, per non dire appropriazione indebita, da parte tanto dei giudici quanto dei concorrenti, di elementi estetici e stilistici provenienti dalla scena rap americana, totalmente de-contestualizzati e privati del loro significato originale, è evidente e fastidiosa. Fa sorridere quando Tablo durante le audizioni di Show Me the Money 4 annuncia che avrebbe eliminato a prescindere chiunque avesse iniziato il proprio rap con le parole ‘show me the money’ e mantiene la parola data, ma fa aggrottare le sopracciglia quando i giudici definiscono Jessi e Yuk Jidam della prima stagione di Unpretty Rapstar ‘come Tupac [Shakur] e Biggie [Notorious B.I.G.]’. Per non parlare dell’intero personaggio che la rapper Truedy, della seconda stagione del programma, ha costruito attorno a se stessa, scimmiottando non solo il modo di rappare di Yoon Mirae (indiscussa ‘regina’ dell’hip-hop coreano), ma anche l’aspetto di quest’ultima (per metà afro-americana), scurendosi la pelle e portando i capelli acconciati in modi che caratterizzano le persone di colore. Truedy che dichiara in continuazione quanto sia ‘autentica’ e il suo desiderio di riportare l’hip-hop alla gloria della ‘old school’, si definisce nei suoi stessi versi una ‘black queen’ pur essendo coreana al 100% e si annuncia con ‘Tasha [nome inglese di Yoon Mirae] is back’, salvo poi dirsi ferita dai commenti che la definiscono una pallida imitazione della veterana. I testi di quasi tutti i concorrenti dei questi programmi sono privi di spessore o contenuto e presentano un utilizzo spropositato e spesso inadeguato della lingua inglese, oltre a rime banali; è ironico che queste siano proprio le caratteristiche che rendono particolarmente apprezzabili i versi dei mentori e produttori Tablo e Verbal Jint, i quali utilizzano tematiche vicine al loro vissuto e sfruttano al massimo le peculiarità della lingua coreana creando per così dire un rap “meno contaminato” e “autoctono”.

Portare la cultura hip-hop in televisione in un paese tradizionalista e conservatore come la Corea significa anche snaturarla, rischiando di scivolare nel “politicamente corretto” a forza: non si parla solo della censura verso qualsiasi forma di linguaggio scurrile (che per altro avviene anche negli Stati Uniti), ma anche e soprattutto di come certi versi hanno urtato la sensibilità dei telespettatori, come nel caso di Song Mino di Show me the Money 4 che subì una vera e propria caccia alle streghe dopo l’infelice, ma non particolarmente scandaloso verso ‘ora aprite le gambe per me come se foste dal ginecologo’. È assolutamente vero che il linguaggio utilizzato nella musica hiphop non sia idoneo alla televisione, ma allo stesso tempo il peso dato alle rime di questi testi non deve essere eccessivo: per fare un esempio pratico Eminem dichiara più volte nei suoi testi il desiderio di uccidere la madre, ma questo non fa di lui un potenziale omicida.

I due programmi presentano delle grosse differenze tra di loro: mentre Show me the Money è più pretenzioso e ha l’immagine di essere la culla per “veri talenti”, la struttura di Unpretty Raspar e la post-produzione effettuata sugli episodi trasmessi lascia intendere in maniera più o meno velata che l’intento del programma sia quello di mettere delle ragazze nelle condizioni di bisticciare tra di loro, apostrofandosi cattiverie per prevalere l’una sull’altra, come se il titolo del programma che le definisce non attraenti non fosse un’offesa sufficiente.

Il mio non vuole essere un discorso pregno di femminismo fondamentalista, anzi se devo essere sincera preferisco di gran lunga Unpretty Raspar a Show me the Money. Il motivo è proprio che in quest’ultimo, come ho già detto, la maggior parte di concorrenti e giudici è eccessivamente pretenziosa e attenta più alla forma che alla sostanza, ottenendo un risultato a mio parere grottesco. Catene, cappellini, felpe larghe, l’utilizzo di termini come ‘swag’ oppure ‘homie’… tutto diventa una moda, non c’è nessuna ricerca del perché certe scelte stilistiche o un determinato linguaggio siano diventate caratteristiche della cultura hip-hop e nessuna ricerca di un proprio stile o una propria identità: il risultato è una copia carbone mal riuscita di rapper mediocri americani. Le ragazze di Unpretty Rapstar per lo meno sono tutte più o meno consce di far parte di uno show televisivo e dei propri limiti, sanno che lo spettatore non si aspetta da loro un’esibizione di qualità e quindi non si prendono eccessivamente sul serio dando vita ad uno spettacolo efficace nell’essere di intrattenimento. Tuttavia anche ad Unpretty Rapstar ci possono essere casi, come quello di Cheetah, meritata vincitrice della prima edizione, in cui ci si trova davanti a veri talenti e per essere sicuri che lei non sia solo l’eccezione che conferma la regola non si può fare altro che continuare a guardare il programma.

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    Articolo di: Caterina Carnevale

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